Enrico Sciamanna “Trasformazioni dell’immagine pittorica” – testo
Assisi, 22 luglio 2011 | ||||
TRASFORMAZIONI DELL’IMMAGINE PITTORICA |
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Piccola guida interpretativa nell’arte di Assisi |
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Breve itinerario dalla sconosciuta Assisi pompeiana alle trasfigurazioni di William Congdon e Giorgio De Chirico attraverso Giotto e Lorenzetti. Dalle Domus e Foro Romano
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alla Cittadella Cristiana attraverso la Basilica di San Francesco. |
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NUMERO CHIUSO dovuto all’esiguità di alcuni spazi e a motivi di sicurezza | ||||
di Enrico Sciamanna |
La mutazione rappresenta ed è la congiunzione e la crisi. La sua epifania è percepita in divenire continuo che si stabilizza nel pensiero e permette di essere colta in un attimo transeunte. Un ossimoro nella sua effettualità. In quanto mutazione già non è più, essendo ormai altro. In un pluriverso esteso in un tempo e uno spazio a dimensioni disponibili, la mutazione è implicita, un dovere ontologico. Ciò vale per l’essere in generale, quindi per tutti gli esseri che ricadono sotto tale definizione.
La città ne è compresa, in modo ostinato, protervo. La città che si distende nella storia, che varca i confini interni del tempo umano e deposita i suoi segni interattivi tra volontà e natura, attraverso la raffigurazione di se stessa è mutazione. Le icone marcano il tempo e ne sono i certificati, la corrispondenza in immagini dell’essere della città stessa, le emergenze visibili di stati d’animo, Weltanschauung, epitomi. Sono il trascorrente punto fermo del modo di ragionare sulle certezze che la riguardano e l’astrazione dell’indagine sul mondo circostante. Esse, le immagini, scavalcano le soglie dei ritmi dell’esistere; sulla base di una “selezione naturale” quelle più forti si radicano e costituiscono il cardine dei valori, rappresentano la summa escludendo le più fioche, le inutili, le ripetitive. Inviando tuttavia, mano a mano che le si interroga, significati diversi.
La straordinaria dose di immagini che sono patrimonio dell’illustrazione della nostra città, custodite nelle teche della storia, ora misere, ora sontuose, dichiarano, alla contemporaneità perenne, volti, profili, sguardi, che la città ha assunto via via nel corso della sua vicenda. Sono un segnacolo che dimostra sensibilità alla mutazione: la sopravvivenza.
Alcune si squadernano sotto gli occhi di tutti, anche se non sempre latrici di evidenze; altre defilate, ma non meno pregnanti, comunque, ineludibili; altre ancora, celate o obliterate, si riaffacciano con arrogante franchezza.
Sceglierle per costituire un percorso identitario è al contempo agevole e arduo; agevole in quanto in diretto rapporto con i contenitori che ne stabiliscono un carattere temporale, arduo per la mole, cospicua, relativamente alla quantità, come in poche altre situazioni.
1°Stazione |
– I dipinti delle domus |
Palazzo Giampè, via S. AgneseÈ il tentativo originario di delineare un’immagine della città. Non una semplice decorazione che illumina
una dimora, ma un affondo concreto e variegato a specificare l’appartenenza ad un mondo che allinea nelle magistrali pennellate le sue virtù: città, domus, identità. Il segno della trasformazione si ricava dalla qualità dell’affresco, dalla floridezza dei colori, dall’inventiva nel proporre soggetti esotici e raffinati, dall’autocompiacimento della stesura dei ritratti. Si annusa l’ afrore di Roma che si sovrappone all’olezzo del pastore, al marcio delle paludi. È un addio alla semplicità per un’immersione nell’agio economico e intellettuale. |
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2°Stazione |
– Cimabue. Crocifissione |
Basilica superiore di S. Francesco TransettoLo Stabat Mater sorge dai precordi dei personaggi che virano nell’atro, enfatizzando oltre misura il
delirio assoluto davanti alla morte. La prepotenza della croce col suo crocifisso, protesa, quasi scagliata verso l’indifeso fedele, ne stravolge il sentire, rendendolo responsabile della morte e della sofferenza di Cristo. Muta la pittura, muta la partecipazione al dramma della vittima, muta l’iconografia religiosa. |
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3°Stazione |
– Giotto. Il dono del mantello al povero cavaliere |
Basilica superiore di S. Francesco Navata
Natura non facit psaltus. Ma la pittura sì! È lo scavalcamento di un’era. Giotto inquadra la realtà, nedichiara l’esistenza con le sue pennellate e trasforma in certezze le dubitabili percezioni. Le certezze che la sua arte crea. Un cavallo che pascola in primo piano, le montagne alberate che si divaricano al cuneo del cielo, la città con la sua vita, il monastero, sono i paradigmi di una nuova coniugazione che strutturerà i termini della comunicazione visiva, aprendo l’orizzonte ad un umanesimo, da questo momento in poi, irreversibile. |
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4°Stazione |
– Pietro Lorenzetti. La deposizione dalla Croce. |
Basilica inferiore di S. Francesco TransettoLa deposizione dalla croce Sublime il trattamento delle epidermidi, dai tessuti, alla pelle, al legno
della mozza croce. Esaltante artisticamente l’uso della linea che percorre il corpo esanime del Cristo deposto, tangente ogni personaggio del muto coro della disperazione fiduciosa. Sull’impulso giottesco, andando all’assalto della realtà se ne conquista anche l’ambito che pertiene i “moti dell’animo”. Psicologie, pensieri, riflessioni religiose, divengono consapevolezze esprimibili attraverso la rappresentazione che ne fa oggetto di meditazione. |
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5°Stazione |
– L’ Ingegno. Sant’Ansano martire |
Oratorio dei Pellegrini, via S. Francesco 11(La stasi): il santo eviscerato mostra quasi con leziosità, ancheggiando, le sue interiora. Le mete che il
rinascimento si prefigge sono qui tutte raggiunte: armonia, bellezza, congiunzione tra etica e estetica, grazia, fingono il mondo come dovrebbe essere. La mutazione si arresta all’aspirazione, non si verifica, l’universo è perfetto nel sogno artistico della realtà. Un codice paratattico dove non c’è dialettica, pur in presenza di un ordine ineccepibile espresso in consonanze linguistiche. Così è la pittura, così è la città. |
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6°Stazione |
– Il Pomarancio. La sala degli sposi |
Palazzo Giacobetti-Vallemani, via S. Francesco Le illustrazioni pittoriche di palazzo Giacobetti – Vallemani rompono la regola della discrezione e
spandono colori, fantasie e forme senza alcun pudore. Le pitture delle stanze del piano nobile sono di una ricchezza cromatica e di segno intonata a gola spiegata, interpretando uno stile tardo manierista pressoché unico nella città. Tutto volge all’illusione, alla comunanza con la divinità, di cui l’esotismo, il fiabesco, il ricercato sono gli araldi. |
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7°Stazione |
– William Congdon. Crocifisso 2 (46) Trasfigurazione |
Pro Civitate Christiana. Osservatorio, via AncajaniC’è l’ibridazione del pittore post-iconico che è stato aderente all’action painting, sia conservandone la
perentoria materialità, sia agendo lo scandalo artistico della manualità sensuale, di una sensualità deviata, ma che si bea dell’incanto del suo fervore religioso impastato di antichità di fede primigenia, traslata in immagini. Il suo crocefisso n. 2, se letto in filigrana con il 46, che ce lo traduce, o ci permette di coglierlo nel suo senso pieno, oltre a sintetizzare parecchi secoli di iconografia teologica, ci propone la cosmicità del sacrificio, descrive l’anastasis esprimendo una radicalità spirituale che coinvolge tutto il creato: coelum terramque. Speculare è la Trasfigurazione, mutazione cristiana per antonomasia, palesamento virtuale della continuità e del cambiamento, momento topico per i credenti dell’immutabilità in divenire della fede. |
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