Assisi nel tempo presente, versione Corriere dell’Umbria

Nota preliminare
Il testo Assisi nel tempo presente è stato pensato in una duplice versione: 11 articoli a carattere locale (versione Assisi) destinati alla pubblicazione sui siti web cittadini (Assisioggi e Assisinews) ed 8 articoli per il Corriere dell’Umbria (versione Corriere) che rappresentano una sintesi e rielaborazione a valenza meno locale e più generale.
La pubblicazione di questi era stata programmata nell’ottobre scorso con la direttrice Anna Mossuto in un lasso di tempo di circa due, tre mesi. Il primo articolo è apparso il 10 dicembre e gli altri sarebbero stati pubblicati dopo le festività natalizie.
Nei primi giorni di gennaio però, vi è stato il cambio di direzione del quotidiano e la nuova linea editoriale non prevedeva contributi esterni in misura così rilevante come invece la precedente.
In conseguenza di questo cambiamento si è convenuto quindi di pubblicare nella sezione locale “Assisi Bastia” una semplice sintesi degli articoli “versione Assisi”, secondo un raggruppamento tematico ed a cura della redattrice locale del Corriere, Flavia Pagliochini.
In conseguenza di ciò vengono pubblicati in questo sito due testi:
• Versione Assisi con le sintesi giornalistiche, inserite prima di ogni gruppo di cui sono la sintesi
• Versione Corriere dell’Umbria con tutti gli articoli originariamente destinati al Corriere dell’Umbria

Indice

  1. Le comunità locali tra cultura, religione, turismo e politica
  2. La politica e le comunicazioni pubbliche delle autorità religiose
  3. Autonomia di Cultura da Religione. Perché la pace e non la guerra? Libera scelta o precettistica?
  4. Autonomia di Cultura da Turismo
  5. Turismo effetto collaterale di cultura e paesaggio
  6. A chi appartiene il turismo? Turismo spa, azienda a maggioranza pubblica
  7. La Politica e la Cultura
  8. I criteri di scelta della pubblica amministrazione in materia di cultura e turismo. Che fare?

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1 – Le comunità locali tra

cultura, religione, turismo e politica

Corriere dell’Umbria 10/12/17

cliccare per ingrandire

Questa serie di articoli nasce dall’ osservazione delle scelte attinenti alle politiche culturali e del turismo da parte della pubblica amministrazione e dalla visione di queste tematiche da parte delle istituzioni ecclesiastiche nel comune di Assisi che rappresenta, nel suo piccolo, forse il punto di riferimento di portata generale, paradigmatica per questi argomenti.

Cultura, religione, turismo e politica qui da sempre costituiscono le componenti di un confronto-scontro su cui vale la pena di soffermare lo sguardo, di tentare un’analisi per trarne spunti di approfondimento di valenza sicuramente extra cittadina. Se i fatti da cui prendono spunto le mie considerazioni hanno un lasso di riferimento temporale specifico, anni 2016-2017, ed un altrettanto circoscritto limite geografico, Assisi, credo che i contenuti rivestano comunque una loro generalità, in quanto si ruota intorno a problemi storicamente inseriti nel corpo sociale nazionale e dunque anche umbro.

Il 29 giugno scorso è stato reso pubblico un documento intitolato “Assisi nel terzo millennio” redatto dal gruppo di lavoro del Vicariato per la Cultura della Diocesi di Assisi e coordinato da don Vittorio Peri, pubblicato in www.oicosriflessioni.it. Immediatamente si è aperto un dibattito politico-culturale su quanto aveva ad oggetto il testo: la visione complessiva della città ed una serie di richiami a principi generali e condotte pratiche suggerite all’ amministrazione ed alla cittadinanza.

Ne è nata una serie di botta e risposta giornalistici, con levata di scudi contro l’intromissione della chiesa nella cosa pubblica, repliche degli interessati e immancabili presenze dei posizionatori di bandiere la cui assenza sarebbe stata ahimè interpretata come una mancanza dal formidabile campo della visibilità offerto da una simile uscita. Quasi tutti c’erano e si sono fatti notare. Sono passati circa quattro mesi e le pagine dei giornali locali hanno provveduto a sommergere l’argomento entro i tempi della cronaca come succederà anche a queste righe.

La scomparsa dell’argomento dalla cronaca, purtroppo significa anche scomparsa dall’ ordine del giorno della politica, dato che questa oggi di cronaca si occupa.

La stabile permanenza di punti di discussione su cui delineare linee di approfondimento e ragionamento, non è nei tempi delle evanescenti presenze on line.

Da un altro lato è altrettanto da rilevare, accanto all’ evidente interpretazione da parte dell’amministrazione comunale del termine “politica culturale” come creazione di un palinsesto di eventi turistici, la progressiva affermazione di una specifica terminologia usata nelle dichiarazioni, nei comunicati e interventi pubblici da parte di chi è preposto al governo del comparto cultura e turismo: marketing territoriale, incoming, pacchetto turistico, prodotto, promozione, comunicazione, offerta, claim, brand, target. Tutto questo, al contrario di quanto accaduto al documento vicariale, scivolato nel silenzio generale ed assurto ormai a vocabolario di riferimento di comune ed evidente accettazione. Ma cosa passa e si insinua, attraverso questo, nella comune accezione dei termini?

Ho atteso quindi di essere fuori dai tempi giornalistici, dal focus mediatico e del dover esserci, per tentare di porre le questioni sollevate sotto altri punti di vista che di seguito riassumo e cito come nuclei intorno a cui ruoteranno anche i prossimi interventi che saranno qui pubblicati

  • Le autorità ecclesiastiche hanno diritto alla manifestazione di una propria visione, raccomandazione, suggerimento, riguardo agli assetti socio-culturali di una comunità? Come deve rapportarsi a questo la società laica e la dimensione politica?
  • La cultura, in senso molto generico, quale ruolo deve avere nell’ambito della costituzione, delineazione, di politiche e strategie per il governo della vita pubblica? Quale ruolo deve intrattenere con il turismo in territori a chiara propensione turistica? Cultura deve essere di supporto a Turismo? O Turismo di supporto a Cultura? Svolge o no un ruolo nella formazione individuale, l’ambiente culturale di residenza? A chi appartiene il bene o impresa “Turismo”?
  • E la politica a quali principi e valori di riferimento dovrebbe informarsi per sviluppare le proprie attività pratiche? E la pubblica dichiarazione, o non dichiarazione, di questi principi, valori, è o non è già atto politico? E più in generale può dichiararsi di profilo meramente tecnico, o ritagliarsi un ruolo meramente tecnico, chi ricopre incarichi di governo, sia esso anche solo locale?

A questi interrogativi tenterò di rispondere nei prossimi articoli che saranno progressivamente pubblicati e raccolti nel sito www.oicosriflessioni.it con il titolo “Assisi nel tempo presente. Versione Corriere dell’Umbria”.

2 – La politica e le comunicazioni pubbliche

delle autorità religiose

Il documento da cui prende spunto questa riflessione è intitolato “Assisi nel terzo millennio”, è stato redatto dal Vicariato per la Cultura della Diocesi di Assisi ed è pubblicato in www.oicosriflessioni.it.

Il documento è una costruzione teorico-pragmatica che propone una visione della vita di comunità regolata da principi e valori fondanti ispirati dalla fede e tradizione cattolica, posti come invalicabile filtro per comportamenti ed azioni amministrative ed individuali a questi non consoni.

Simili esortazioni, prese di posizione e moniti, sono da sempre una consuetudine nel panorama pubblico italiano.

Nell’esposizione pubblica delle proprie posizioni da parte della chiesa, si avverte spesso una sorta di auto-considerazione che le vorrebbe avvolte in una bolla di autorevolezza tale che le porrebbe al riparo, ed affrancate, dal sottostante movimento del fremito temporale dello scontro delle idee e delle visioni.

Al manifestarsi di questi documenti, impegnativi in quanto a richiami a stili di vita, principi non negoziabili, norme etico-morali, si assiste all’immediato scatto del fervore anticlericale da un lato, e dall’altro alla difesa della libertà d’espressione di chiunque e dunque anche dell’autorità morale. Ma quest’ultimo atteggiamento, solitamente mantenuto da chi proviene da estrazione laica, comporta una parallela astensione dall’entrare nel merito delle questioni sollevate, perché la cautela dovuta impone il rifugio all’interno di una laicità elettorale, che esige il silenzio nel merito e, appunto,  l’appello alla volteriana libertà di espressione.

Nessun confronto tale che da quella presunta dimensione extra-temporale, si riporti il tutto ad un razionale confronto, riconoscendo si il diritto di espressione a chiunque, dunque anche a privati organismi religiosi, ma dall’altro anche il dovere di mettere nel circolo del confronto civile le opinioni pubblicate, che in quanto pubblicate, automaticamente evocano e si rivolgono al consesso pubblico dunque politico, assurgendo dunque, al pari di altri, ad opinioni politiche entrando così di fatto nell’agone.

C’è il dovere da parte di che rappresenta organi istituzionali o partiti, di esprimere un razionale confronto entrando nel merito del detto e trattando quanto perviene nell’orizzonte della comunicazione pubblica come qualsiasi altra fonte meritevole di considerazione, ma anche di critica.

Posto quindi come punto condiviso la simmetrica parità del livello di interlocuzione e non l’asimmetrica altezza espositiva, dovremmo quindi convenire che tutti ci affacciamo dal medesimo balcone sulla medesima platea di ascoltatori e che forse si dovrà riflettere sulle modalità dell’interlocuzione, del dialogo.

Porsi nella pubblica esposizione, significa esporre alla possibilità del dialogo e della critica le posizioni sostenute. Occorre quindi che la razionalità del confronto comporti anche la disponibilità all’accertamento dell’effettiva  rispondenza ai fatti di quanto asserito e la disponibilità all’intreccio di un confronto dialettico il cui esito potrebbe portare anche a divergenze profonde quanto ai principi ed ai fini del governo della vita di comunità.

In altre parole un dibattito può aprirsi solo se si è disponibili ad intessere un discorso razionalmente fondato, basato oltre che su dichiarazione di propri principi non negoziabili, anche sul reperimento di dati e fatti oggettivi portati a sostegno di quei principi e sull’accettazione di una comune dialettica che riconosce all’altro o la coerenza delle argomentazioni o all’opposto l’incongruenza di quanto affermato, nella sana tensione all’incontro-scontro dialogico.

Se questo non fosse si sarebbe costretti ad opporre ai documenti presentati una mera elencazione di principi, precetti e raccomandazioni morali coincidenti o contrari a seconda dei principi etico morali a cui ci si volesse ispirare.

Considero tali documenti, documenti politici nel senso più alto del termine. Intendendo per politica quel complesso teorico e organico che a partire dalla dichiarazione di principi e valori guida posti a sovrintendere la conduzione del governo della cosa pubblica, si concretizza in conseguenti prese di posizione ed attività su problematiche singole in coerenza con l’adozione di quei principi e valori. Interpreto quindi in questo senso la formulazione di tali proposte ed il loro stesso rivolgersi alla cittadinanza in modo pubblico, come un sottinteso richiamo al primato della politica purtroppo ormai scomparsa dall’orizzonte culturale e civile, e rifugiata ormai nelle ristrettezze del duello dialettico  interpersonale tra esponenti politici dei consessi amministrativi.

Concordo nel ribadire il primato della politica, ma altra cosa è la condivisione di quella specifica impostazione, essendo portatore di altra visione che in seguito cercherò sommariamente di esporre.

3 – Autonomia di Cultura da Religione

Perché la pace e non la guerra? Libera scelta o precettistica?

Il documento del Vicariato vescovile di Assisi “Assisi nel terzo millennio”, uno dei due  spunti di questa riflessione, essendo l’altro le politiche attuate dalla amministrazione su Turismo e Cultura, pone al centro della propria costruzione teorica e programmatica le figure di Francesco e Chiara, e il loro messaggio, come generatori e custodi del genius loci.

La fede è interpretata come unico e determinante approccio alla città per la cui guida di governo ci si deve ispirare ai principi della dottrina ed etica della chiesa cattolica, garante di quei principi e valori.

Tutta la città viene concepita come una sorta di santuario a cielo aperto che offre alla percezione immediata del passante, la manifestazione e testimonianza palese dei valori del messaggio francescano: pace, fratellanza, difesa dell’ambiente, incontro del diverso. I tempi della vita sociale e gli stessi luoghi sono a memoria e monito di quei valori a cui devono uniformarsi politiche pubbliche e comportamenti individuali.

Occorre ricordare che chi scrive si occupa di tali temi, perché questi sono strutturali componenti di quel complesso di problematiche a cui si rivolge chi cerca di capire come delineare adeguate politiche in materia di cultura e turismo per il sito Assisi.

Ma questa dimensione locale, può senz’altro assurgere a simbolico confronto più generale, riguardo  alle politiche che incidono nella determinazione di ambienti culturali plasmati nelle singole comunità locali.

Si può cioè facilmente convenire che nelle nostre comunità locali, ci si trova spesso di fronte alla prefigurazione di monolitici ambienti culturali urbani appellandosi alla forte carica simbolica e storica, o religiosa come i questo caso, in continuità con la quale la città odierna dovrebbe proseguire senza venire meno alle proprie “radici”, abusata metafora che platealmente dimentica che nella riproduzione nel mondo vegetale solo il nuovo seme, emettendo nuove radici garantisce la prosecuzione della specie e non l’imperituro unico esemplare destinato invece biologicamente all’estinzione.

Il ricorso acritico a termini come genius loci, una sorta di inamovibile identità metafisica, fa appello ad un definitivo livello interpretativo di pagana sacralità, violando il quale di scadrebbe nel sacrilegio. E’piuttosto un genius temporis da evocare, unica chiave di lettura della storia e dunque della contemporaneità.

Ma qual’é il punto allora, tornando a quella organicità di significati, parametro della vita sociale,  prospettata dalla diocesi assisana?

L’evocazione di temi potenti ed epocali come la pace, l’ambiente, l’amore del prossimo, la solidarietà, ecc.. esigono, per come vengono presentati alla mentalità corrente, quasi una scontata ed immediata adesione senza obiezioni di fondo. Chi osa essere per la guerra? Il pensiero corrente largamente condiviso, costruisce intorno a sé icone incontrastate che tutti noi non osiamo ledere. Tutti siamo per la solidarietà, per la pace…

Ma la pace è precetto o scelta?

Anticipando quanto sarà trattato più avanti dichiaro quelli che per me sono valori e principi non negoziabili: conoscenza e differenza sono i valori fondanti cui deve riferirsi una politica per la cultura. La politica culturale praticata da una pubblica amministrazione ha come scopo la creazione di un ambiente e condizioni favorevoli per lo sviluppo conoscitivo individuale ed interpersonale dei cittadini, che ha come conseguenza il rafforzamento della capacità di libera scelta e di giudizio

La conoscenza è bene comune ed ha una dimensione “etico-morale” perché la consapevolezza della possibilità dell’esistenza del totalmente altro, relativizza la propria posizione, la propria sfera socio-culturale, rendendola cosciente della sua appartenenza ad un contesto di visioni e concezioni molto più vaste, di cui prende coscienza di essere una parte. E questa cognizione del relativo può contribuire al riconoscimento dell’altro come legittima parte del tutto. Si pensa invece che la costruzione artificiosa di un ambiente irreale, plasmato propagandisticamente sulla generica immagine di pace, induca di per sé ed indichi la via, ma in realtà la monocorde ritmazione del tema, finisce con lo svuotare di contenuti qualsiasi seppur alto e nobile dei valori, che appariranno invece come stantii e ripetitivi riti.

La conoscenza della differenza fattore di confronto o se si preferisce via di pace. Pace frutto di un razionale conseguimento anziché di fideistica adesione, cioè scelta per via di conoscenza dove l’altro  viene conservato e preservato in questa sua alterità.

Ed in conseguenza del riconoscimento del valore della differenza si deve concedere che la religione è una parte dell’ambito culturale, il quale contiene al suo interno anche quello religioso, (oltre a quello scientifico, artistico, giuridico ecc..) cioè la sfera culturale delle comunità umane organizzate, eccede l’ambito religioso che ne è una parte.

La religione è una delle forme ed una parte della cultura umana che come sfera generale eccede la particolarità religiosa.

È questo il primato della cultura che porta con sé il primato della politica di cui è sinonimo.

4 – Autonomia di cultura da turismo

La natura turistica della città di Assisi (sia religiosa, che culturale) porta con sé un altro fattore di pressione e tensione sulle scelte di politica culturale e turistica, oltre a quanto citato negli articoli precedenti.

La forza e l’importanza economica del settore turistico (tutta da valutare in realtà nel suo reale apporto al PIL cittadino), la schiacciante e preponderante immagine ultracittadina e mediatica su quella locale,

sia come meta d’arte, sia come meta di fede, ingenerano la propensione alla formulazione di politiche e prese di posizione in cui l’ambito culturale viene completamente finalizzato alle esigenze dell’incoming religioso o turistico: la città dovrà approntare attività ed iniziative tese all’incremento degli arrivi e delle visite in città o in conformità all’immagine esistente, o con nuovi attrattori, ma comunque gli sforzi e le risorse in quella direzione dovranno essere impiegate. Tutto dovrà essere volto alla diminuzione del numero dei posti vuoti o nei letti d’albergo o nelle panche delle chiese. Cioè pur riconoscendo, per l’ambito commerciale, la comprensibile motivazione dello sforzo, ma vedremo le conseguenze di questa intenzione, si dovrà convenire che tutte le iniziative intraprese, per loro natura, hanno la loro  legittimazione nel raggiungimento dell’obiettivo, cioè l’incremento numerico degli arrivi e che quindi l’interlocutore cui ci si rivolge nell’approntare il “prodotto” altro non è se non l’utenza in arrivo, turista o pellegrino che sia.

Quindi lo sforzo delle strategie operative è indirizzato ed ha come destinatario la comunità in transito dei turisti e dei pellegrini. La città dovrà essere allestita a questa finalità e le attività dovranno essere volte o a perpetrare ed amplificare l’immagine corrente per rafforzare il brand esistente (religioso e culturale) o a creare altre opportunità attrattive per altri brand: il fine è l’incoming ed il mezzo il patrimonio monumentale, paesaggistico, di fede o di nuova natura. Cultura per il turismo.

Non entro per ora nel giudizio di come si rapportano o si possano rapportare tra loro questi elementi, ma mi limito a constatare come gli apparati prospettati, avendo appunto come fine il turismo, tendano a lasciare l’esigenza culturale dei residenti in secondo piano rispetto a quella degli ospitati, riconoscendo ovviamente a tutti la volontà del beneficio economico collettivo. Così seguendo questa linea di pensiero, l’amministrazione cittadina ritiene che Assisi altro non sia che una location su cui poggiare 365 eventi l’anno, intercettando ogni possibile brand, possibilmente all’insegna dello stupore e del sorprendente, per dar vita al Gran Luna Park Assisi, al cui interno il compratore possa scegliere i suoi “pacchetti di prodotto” disposti sapientemente sugli scaffali secondo un oculato merchandising.

Se quindi da un lato nel documento proposto dal vicariato va sottolineato come qui si abbia come riferimento preponderante per le attività da intraprendere la folla dei pellegrini, dall’altro e parallelamente, c’è altresì da rilevare come l’amministrazione in carica tenda altrettanto a considerare la folla dei visitatori come destinatari delle proprie politiche e quindi il comparto turisitico-alberghiero come proprio interlocutore diretto e privilegiato.

Già nelle prime assemblee pubbliche l’assessore Guarducci auspicava la costituzione di una lobby degli operatori del settore turistico capace di influenzare le politiche del turismo e della cultura della città di Assisi ed anche recentemente, in un post su Fb, in risposta ad un altro del consigliere Leggio sosteneva che: “ … sistemi di aggregazione (Consorzio)..avrebbero dovuto assumere un ruolo guida/indirizzo e controllo nelle politiche turistiche e culturali della Città”. Le politiche culturali e del turismo, quindi, controllate da un gruppo di imprenditori.

La stessa qualifica di ruolo tecnico e non politico, più volte attribuita alle deleghe su turismo e cultura, sia da parte del sindaco che dell’assessore, denotano la palese visione di una comunità avulsa dai bisogni quotidiani della propria struttura socio-culturale ed in cui i valori assoluti, seppur non dichiarati, sono quelli dell’incoming su cui vanno concentrate tutte le risorse a disposizione dell’assessore, “tecnico  incrementatore di flussi turistici”, coerentemente all’idea di una città come location per masse in movimento e non luogo residenziale (Documento Unico di Programmazione pg. 62 – B. turismo, cultura, valorizzazione dei contenitori culturali. Il respiro internazionale di Assisi, città’ della pace).

La pretesa di ruoli tecnici in cariche pubbliche, è palesemente autocontraddittoria. Una visione e dei valori guidano comunque l’azione che “tecnicamente” applica al contesto sociale quei principi guida, scegliendo qualcosa e scartando altro non rispondente a quelle intenzioni, cioè applicando una “politica”: non esistono cariche pubbliche tecniche, ma solo ed esclusivamente politiche, anche all’insaputa e nonostante le affermazioni in senso contrario di chi le ricopre.

5 – Turismo effetto collaterale di cultura e paesaggio

Espongo qui un principio che ritengo non negoziabile:

La politica in generale, o culturale come  in questi miei articoli, non può essere ispirata e tantomeno demandata, né a lobby imprenditoriali, né ad enti ecclesiastici, ma deve rimanere saldamente nelle mani della politica in senso stretto, cioè nell’esercizio del potere della città da parte della cittadinanza, che perseguirà interessi generali collettivi e non particolari, siano essi di ambito economico, siano essi di ambito socio-culturale. Questo non significa che, come da più parti reclamato, gli interessi particolari non debbano emergere od essere legittimamente espressi e rappresentati anche da istituzioni di categoria o religiose, che sono banalmente istituzioni, enti, gruppi di cittadini come qualsiasi altro.

Non voglio sostenere che nell’intero documento del vicariato (vedi articoli precedenti), le azioni suggerite siano esclusivamente indirizzate verso l’incoming religioso, ma le raccomandazioni e prescrizioni rivolte alla comunità residente,  le attività “indoor”, sono comunque marginali e tutte volte alla conservazione dell’icona classica di Assisi che i fedeli si aspettano. Si percepisce in sostanza, un’intenzione preponderante verso la consolidata immagine ultracittadina (che è diverso da internazionale).

Il gruppo diocesano con quanto consiglia e l’amministrazione per gli investimenti e le azioni effettuate, prospettano e lasciano intravvedere l’idea di una politica culturale, che tende ad incrementare i poli attrattivi interni, rafforzare quelli esistenti, per catalizzare l’attenzione della moltitudine esterna, per motivarne un flusso dinamico dall’esterno verso l’interno. Una sostanziale univocità di intenti.

Città che si deve periodicamente svuotare e riempire di turisti e fedeli ed in cui la cittadinanza  permanente è tutto sommato, un po’ sullo sfondo, una questione relativa e su cui le energie non vanno impegnate più di tanto se non nel mantenimento di quello che c’è. Come le camere d’albergo e le chiese periodicamente si riempiono e si svuotano, si occupano e si lasciano, così è la città nel suo complesso. Un enorme palcoscenico proteso verso una platea cui offrire spettacoli di arti e di fede.

Se la politica culturale ha come scopo la creazione di un ambiente e condizioni favorevoli per lo sviluppo conoscitivo individuale ed interpersonale dei cittadini, questa tensione non è dato percepirla.

Non si avverte la cogenza del problema dello spopolamento del centro storico e le misure indicate (parcheggi, incentivi economici ecc.) sembrano citate solo per dovere di elencazione di argomenti classici della “Questione Assisi”. L’icona ricercata dal visitatore, non coincide con la forma richiesta dal residente.

Mentre l’una è un’icona statica, un’immagine ferma che in quanto “prodotto” deve avere una connotazione ben specifica, l’assetto dell’ambiente composto dai residenti è assolutamente dinamico. In conformità alla mutazione costante del tempo quotidiano, che asseconda assolutamente il flusso del tempo corrente. L’onda culturale in cui viviamo con tutte le sue contraddizioni e fermenti, il suo tumultuoso accavallarsi di fenomeni e fratture. Quindi assecondare l’immagine richiesta dal visitatore è in qualche modo in contrasto con la necessità ed il bisogno del residente, che è un residente che non visita, ma vive la città.

Si ha in sostanza l’impressione, che non sia preso ad oggetto delle argomentazioni il problema se l’attuale assetto dell’ambiente cittadino (inteso come territorio comunale) risponda ai bisogni latenti della cittadinanza, se l’ambiente offerto sia rispondente a quanto il nostro tempo propone, se il diritto all’accrescimento delle opportunità individuali possa essere sviluppato ed in che modo. Se possa essere esperita una nuova via per pensare un reinsediamento nel centro storico, fuori dai luoghi comuni e lontano dai peana degli improbabili, miracolistici incentivi economici. Ammesso che una via esista.

L’autonomia della cultura dalle attività di incoming (sia turistico che religioso) significa quindi avere ben presente la non assoggettabilità della politica, volta al miglioramento dell’ambiente culturale cittadino, alle esigenze commerciali tout court o di pellegrinaggio e quindi da questo punto di vista se mai: Turismo per la Cultura, perché in fin dei conti il turismo cosa è se non un effetto collaterale di cultura e paesaggio?

6 – A chi appartiene il Turismo? 

Turismo spa, azienda a maggioranza pubblica

Premesso che la nostra indagine riguarda l’ambito del turismo culturale, va riconosciuta l’anomalia di questo settore  rispetto a qualsiasi altro settore economico.

“Turismo spa” è un’azienda la cui maggioranza azionaria è detenuta dal pubblico.

Il pubblico possiede il prodotto standard e lo mantiene (i beni paesaggistici e culturali), il pubblico produce nuove linee di prodotto e le lancia sul mercato (beni architettonico-ambientali, eventi, manifestazioni ecc.), il pubblico comunica e pubblicizza i suoi prodotti.

Pubblico è tutto ciò che il privato non autoproduce, sia esso frutto di investimento istituzionale, ecclesiastico o di fondazione bancaria.

Sulla capacità di valorizzazione e manutenzione dei prodotti pubblici, vive il comparto turistico a differenza di altri dove il prodotto e la sua commercializzazione sono totalmente dipendenti dal capitale privato investito.

Scelte e strategie sono in ultima analisi stretta competenza dell’autonomia della politica che governa la pubblica amministrazione.

Già queste considerazioni rendono evidente che chi detiene la maggioranza azionaria ha l’onere della rendicontazione alla compagine sociale che è azionariato diffuso, cioè la totalità della popolazione alla quale deve distribuire dividendi.

Ma mentre per i diretti interessati dell’azionariato di minoranza (imprese ed operatori del comparto)  i dividendi sono raccolti monetariamente a fine anno sotto forma di utile aziendale, (e se si vuole anche di occupazione e attività indirette legate al settore), per l’azionariato di maggioranza l’utile non ha forma monetaria.

Quell’utile è immateriale ed è di natura socio-culturale. Da questo punto di vista quindi non vi è alcun dubbio sulla risposta da dare alla domanda: Turismo per la Cultura o Cultura per il Turismo?

Turismo per la Cultura.

Il visitatore è un consumatore e quindi interessante nell’analisi economica per studi di sviluppo e correttivi. La permanenza, momentanea o residenziale, accomuna sia i turisti che i residenti che condividono il medesimo spazio in lassi di tempo diversi. La modellazione dello spazio ambientale e culturale che ha come riferimento la permanenza transitoria, e le sue esigenze, comporta direttamente un riflesso sulla vita sociale e culturale della città stanziale. E questa, di converso, nel suo autonomo rimodellarsi, rimodula anche l’offerta, il prodotto presentato al mercato turistico. Un ambito interseca e modifica l’altro e ne è alimentato in una variante continua e solidale. La politica determina il primato di uno dei due: Politica del Turismo e della Cultura

Inscindibilità di turismo da cultura. Altrove si  cercherà di dimostrare come la semplice analisi delle problematiche del turismo non possa essere slegata da quella socio-culturale, ma anzi che questa è l’unica via possibile per il miglioramento delle condizioni di quel comparto economico. 

7 – La Politica e la Cultura

Ritengo l’ambiente culturale delle comunità locali, uno dei maggiori fattori formativi e cognitivi delle persone, dei residenti, in quanto ne occupa i pensieri ed il tempo,

Determinante al punto che l’assimilazione degli elementi caratteristici di tali contesti condiziona oltre che la crescita e lo sviluppo individuale in senso generico, anche veri e propri filoni culturali e professionali caratteristici del luogo. Famiglia, scuola, oggi i media e la comunità sociale ci formano e se i primi sono demandati a decisori non immediatamente riconducibili ad un ambito direttamente controllabile dalla cittadinanza, l’ultima è assolutamente influenzabile e governata dalla volontà politica che ha l’obbligo di considerare se stessa come il primo fattore di conservazione o mutazione.

Se dunque l’ambiente sociale incide sulla formazione individuale e può o no contribuire all’incremento di conoscenza in senso lato, va da sé quanto determinante sia plasmarne le linee che ne configurano l’assetto o a questo rinunciare. Ma la rinuncia da parte del governo cittadino non significa che la forma ambientale culturale non abbia una sua configurazione, comunque attori e soggetti naturalmente la determinano immettendo sulla scena della visibilità pubblica, valori e comportamenti di riferimento: le forme del lavoro, le ritualità religiose, le forme della socialità e della modalità aggregative, le pulsioni ludiche e quelle culturali in senso stretto, comunque condizioniamo lo spazio che abitiamo in quanto esseri sociali.

Quale ambiente culturale è quindi auspicabile per favorire lo sviluppo “culturale”  dell’individuo e delle relazioni conoscitive ed interpersonali?

I miei valori di riferimento, i principi non negoziabili, le linee guida

  • Conoscenza e differenza sono i valori fondanti cui deve riferirsi una politica per la cultura.
  • La politica culturale praticata da una pubblica amministrazione ha come scopo la creazione di un ambiente e condizioni favorevoli per lo sviluppo conoscitivo individuale ed interpersonale dei cittadini, che ha come conseguenza il rafforzamento della capacità di libera scelta e di giudizio.
  • Queste condizioni non possono che attuarsi nel consentire e perseguire la molteplicità e complessità culturale (per culturale si intende qualsiasi ambito dell’attività umana, dal lavorativo al ludico, dal religioso al culturale in senso stretto).
  • La molteplicità culturale si manifesta nell’ambiente in qualsiasi forma, sia essa materiale che immateriale, sia essa architettonica o di aggregazione sociale, di rappresentazione o rituale …
  • La limitatezza di risorse finanziarie e di spazi pubblici, costringe ad una scelta: poche cose possono essere scelte e molte non devono essere scelte
  • Scegliere significa esercitare l’azione di governo da parte del potere politico. Riplasmare l’ambiente culturale significa fatalmente riponderare le proporzioni tra gli elementi eterogenei che compongono l’ambiente e correggerne l’inclinazione. Qualsiasi intervento del potere pubblico o muta l’assetto dell’esistente o lascia che siano altri a determinarlo in caso di astensione dall’intervento. E saranno consuetudine ed abitudine a determinarlo o plasmatori più o meno inconsci anche se animati da ottime intenzioni e realizzatori di opere meritorie. Così ad esempio, l’occupazione degli spazi pubblici fisici, mediatici, di intrattenimento o di incontro collettivo di qualsiasi natura (ludica, culturale, sportiva o svago) hanno di per sé una valenza simbolica e pedagogica. Ricevono, per il semplice fatto di essere pubblici, la valenza di importanza valoriale, quindi anche di indicazione di contenuto positivo, emblematico-emulativo. Posti all’opinione pubblica come punto di riferimento. Un ipotetico spazio fisico da destinare alla fruizione pubblica, contribuirà nel suo piccolo, comunque all’inserimento di un altro tassello nella composizione della dimensione culturale collettiva. Riceverà direttamente un’investitura di significato e valore ostentato alla visione della comunità: memoriale della Giornata mondiale di preghiera per la pace, sala di lettura, esposizione di costumi medievali, sala espositiva d’arte contemporanea, . .. o Kinderheim multietnica?
  • Ma riplasmare non significa conformare, regolare, controllare. Il governo della politica culturale se da un lato ha il dovere di esercitare il potere che gli compete, cioè essere uno dei determinatori attivi dell’ambiente culturale, dall’altro deve interpretare quel potere non come egemonia, ma come agevolazione di altri soggetti o attività. L’eccessiva saturazione di un’unica istanza culturale, finirebbe per ridurre le differenze esistenti o quelle possibili. La differenza di ambiti, inclinazioni, passioni e interessi è pur sempre un magma spontaneo e positivo la cui fuoriuscita va favorita, anche se il suo flusso deve comunque essere governato. Perché appunto le differenze sono di per sé un valore culturale che va ricercato. 
  • Il presente non è clonazione del passato e come chi ha vissuto le epoche passate, noi oggi in quanto appartenenti all’era che viviamo, dobbiamo rendere testimonianza del nostro tempo. L’obbligo storico è esprimere il nostro presente nella sua alterità dal passato e lasciare che questa differenza si manifesti: il quid che non c’era e che oggi c’è

Ritornando alla metafora su pace e guerra, dico quindi che la scelta tra le due, non deve essere frutto di una raccomandazione, di un precetto morale, o di un’esortazione, ma deve essere la libera, consapevole e razionale decisione su due opzioni in campo ed in questo senso non è con memoriali, esortazioni, commemorazioni, intitolazione di strade, o erigendo monumenti, stilando calendari di ricorrenze che si incrementa la volontà di pace. Ma semplicemente aumentando la coscienza, la consapevolezza e la cultura di ogni singolo individuo che sceglierà di giorno in giorno l’oggetto del contendere, la cosa da fare ascoltando solo e semplicemente il proprio livello di coscienza e cultura acquisita anche da un ambiente che favorisce la cognizione personale. Senza nessuna autorità esterna che occludendo l’angolo visuale, restringendo il campo visivo ad un’ unica immagine esortativa, non consente il rischio della visione avversa, dell’opzione conflittuale.

Tra Giotto e Jeeg Robot

Stante questo, è del tutto evidente la profonda differenza tra quanto prospettato nel documento “Assisi nel terzo millennio” e quanto sopra esposto. Nel primo si preconizza una sostanziale univocità dell’istanza culturale, su cui abbondantemente argomentato, mentre prendendo a propria guida questi diversi assunti valoriali, il bambino che qui cresce non troverà solo icone della fede, ma anche le gesta di Jeeg Robot, e poi potrà appassionarsi non solo agli affreschi del Sermei, ma anche alle follie di Damien Hirst, potrà assistere a concerti hard rock, o ascoltare splendidi cori gregoriani, partecipare alle messe domenicali o alle preghiere del venerdì in moschea e nel momento della nascita di rapporti sentimentali, decidere come costituire il proprio nucleo familiare solo seguendo la propria inclinazione.

Perché la città non è un santuario votato alla celebrazione del passato, ma una straordinaria e pulsante comunità vivente satura di differenze, divergenze, contraddizioni ed anche conflitti, ma che respira l’aria del mondo e del tempo che l’avvolge.

L’autonomia della cultura dalla religione, significa quindi avere ben presente la non assoggettabilità di una politica culturale ad una sola componente dell’orizzonte culturale, quella religiosa. Si dovrà invece tentare di dilatare lo spettro delle differenze, tenuta presente la limitatezza dello spazio a disposizione di quell’orizzonte (spazi fisici, risorse economiche e umane, date di calendario). 

8 – I criteri di scelta della pubblica amministrazione

in materia di cultura e turismo.Che fare?

Perché si dovrebbero scegliere e finanziare iniziative nel settore turistico-culturale quello che io propongo e non quelle che propongono altri? Quale delle varie proposte è la migliore?

Le proposte che potrebbero pervenire dal sottoscritto o quelle che potrebbero pervenire da altri, si inseriscono nel proliferare di idee e proposte di tutti i tipi che da sempre si posano sui tavoli dei sindaci ed assessori di Assisi perché un tale palcoscenico è da un lato amato dai residenti e dall’altro ambito dagli operatori culturali esterni.

Perché a quella mostra viene concesso il contributo ed all’altra no? Perché quello spazio pubblico viene adibito a quell’uso e non ad un altro? Perché viene finanziato quell’evento, quell’opera pubblica  e non un’altra?

Dato che come si diceva la politica è scelta, qualcosa si sceglie e molto dovrà essere scartato, e dato, come ho cercato di dimostrare in tutto lo scritto che i valori di fondo sono quelli che presiedono alle scelte operative della linea politica, si dovrà convenire sulla necessità dell’applicazione di un criterio di valutazione che renda le scelte non arbitrarie, ma ponderate ed il più oggettive possibili.

La delineazione di una linea di politica culturale certa, chiara e pubblicamente manifesta, consente come prima istanza di accogliere o respingere quelle proposte che sono o no in linea con quella strategia. Questo permette di evitare quello che è il massimo degli arbitri: l’adesione ad improbabili iniziative sostenute solo perché l’assenza di strategia, il vuoto progettuale, favorisce qualsiasi cosa che permetta di riempire quel vuoto (nel caso di Assisi: Museo Pericle Fazzini, Festival Internazionale della Felicità, Museo della Boxe).
Premessa quindi l’affinità culturale con i principi che ispirano l’azione politica scelta, (nessun porno-festival sarebbe possibile ad Assisi) l’adozione di un tale criterio non potrà che esprimersi secondo aree di valutazione e parametri misurabili, da applicare preventivamente ed a consuntivo di ogni iniziativa (sia essa evento, contributo ad associazioni o opera pubblica), fermo restando la sana pratica del buon senso e lontano da pretese scientiste.

Queste aree sono griglie valutative:

  • Costi e ricavi diretti ed indiretti sul bilancio comunale e sull’economia locale
  • Benefici e svantaggi apportati all’ambiente cittadino e rispondenza a valori di socialità scelti
  • Rilevanza attribuita dagli specialisti del settore interessato all’iniziativa, opera, attività
  • Contributo all’incremento degli arrivi.

Non potendo scendere nel dettaglio di ogni singola griglia, mi limiterò ad accennare ad alcuni indicatori della griglia turismo, nel caso di un evento di durata limitata nel tempo, essendo leggermente diversi i parametri, per esempio nel caso di musei.

Se lo scopo è, come sopra esposto, il conseguimento di un incremento degli arrivi, allora il primo dato da rilevare saranno gli arrivi registrati l’anno precedente nel medesimo periodo scelto. Da qui si dovrà partire per misurare prima l’aspettativa e poi l’esito dell’iniziativa.

E per misurare la corretta aspettativa, in generale quali sono gli eventi che registrano il maggior numero di presenze in Italia, Umbria, comprensorio, comune? Di che genere sono? Sportivo, enogastronomico, intrattenimento culturale, musicale, teatrale, rievocazione storica? A quali di questi generi appartiene l’evento ipotizzato? Dunque quale è il numero massimo di riferimento? Quindi dato il numero massimo di riferimento, questo andrà riponderato secondo un’ulteriore indagine: quanti eventi dello stesso genere esistono in Italia, Umbria ecc.? Quanti nello stesso periodo, poco prima o poco dopo? E dunque quale è l’indice di interesse, la capacità attrattiva stimata quanto a provenienza, dei visitatori? Nazionale, regionale, comprensoriale? Esistono nello stesso periodo, per lo meno nel comprensorio, altri tipi di eventi che possono attrarre il pubblico potenziale dell’evento, drenandogli presenze? Dato tutto questo quale è plausibilmente il numero prevedibile di visitatori?

Che valutazione diamo dell’effetto comunicativo (diffusione del brand Assisi nel pubblico vasto anche di tutti quelli che non avranno partecipato all’evento), memoria (durata dell’impressione mnemonico-emozionale nello spettatore) e fidelizzazione (dipende dalla durata dell’effetto memoria: dopo l’evento il fruitore sarà portato o no a ritornare il prossimo anno?)

Su questa griglia preventiva e progettuale si dovrà poi redigere il consuntivo di verifica.

Si rimanda alle tabelle tipo pubblicate nel documento sotto citato per la specifica della redazione tecnica di tali sistemi valutativi.

La conclusione di questi miei interventi non può che essere la consapevolezza di una mancanza, di un senso di vuoto. Ammesso che tutto questo sia condivisibile, la domanda è: che fare? Il turismo non va sostenuto? La pars construens dove è?

Cito solo quattro parole, rimandando al testo “Dal Dossier Assisi al Progetto Assisi”, consultabile in www.oicosriflessioni.it

Obiettivo: Assisi città internazionale della cultura, per la formazione e produzione culturale

Metodo: Percorso di incontri e relazioni per l’approfondimento del “Progetto Assisi”

Antefatto: Stati generali della cultura e del turismo della città di Assisi

Imprescindibili:  Sacro Convento San Francesco, Cittadella Cristiana

 

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