Il destino degli spazi espositivi
di Enrico Sciamanna
Micropolis, Aprile 2009
Quale sarà, a breve, il destino degli spazi espositivi? Dei contenitori “artificiali” di opere d’arte, sia quelli permanenti, come Uffizzi o Borghese o Guggenheim, sia quelli temporanei ed occasionali? come parteciperemo in futuro agli appuntamenti su nomi o opere di contemporanei o su gallerie di manufatti di geni consegnati alla storia? Ciò in ragione non solo dell’evoluzione delle modalità dei rapporti sociali, ma anche in previsione, sempre a breve, delle trasformazioni dei linguaggi artistici, sempre più utilizzabili, sul piano comunicativo, attraverso sistemi che non comportano la raccolta delle opere in un solo luogo e di conseguenza gli spostamenti degli osservatori, dei fruitori, insomma delle masse. Senza dire poi dell’obsolescenza dei sistemi tradizionali di confezionamento delle opere, sia per quanto concerne le tecniche sia per quel che riguarda i materiali come olio, tele , marmi, bronzi, acqueforti e simili, destinati a ridursi in un ambito d’uso per amatori non professionisti, bricoleurs; mentre arte elettronica, computer grafica, video art e chissà cos’altro è già in preparazione, si allinea all’orizzonte.
Mosaici nilotici di Hurvinum Hortense – Museo Archeologico Città di Cannara
A breve, quindi in maniera più opinabile, ma non improbabile. Alla lunga è facile prevedere una epocale trasformazione del sistema dell’arte, dal linguaggio alla trasmissione e fruizione e, se è vero come è vero che la forma è la sostanza, dei contenuti. Quindi in rapida prospettiva la visione dell’opera, chissà se ancora pregnante della sua aura, avverrà sul tavolo del soggiorno di casa propria, in forma di ologramma in realtà virtuale, avvicendabile con un clic, o magari con la semplice espressione di un suono o addirittura di un desiderio. È arduo sostenere tale tesi in un momento particolarmente favorevole, a livello planetario, all’arte e alle iniziative che la riguardano. Sono noti i costanti incrementi dei visitatori alle mostre e ai siti che raccolgono opere consacrate. Ma forse è il caso di modificare la prospettiva per un giudizio che individui con esattezza maggiore il trend. Quello che si può sostenere è che all’aumento dell’interesse per il feticcio corrisponde l’aumento dell’accesso diverso, digitale, all’opera, ancorché non pienamente disponibile come sopra ipotizzato. Con conseguente sparizione degli spazi espositivi e degli appuntamenti, perciò anche delle prenotazioni e delle file, o dei desolanti vuoti di tanti contenitori meno prestigiosi o meno pubblicizzati.
Un mondo diverso ci aspetta, anzi incombe e di conseguenza il modo di raccontarlo, di descriverlo, se se ne sentirà ancora l’esigenza, si adeguerà alla trasformazione, in maniera imprevedibile, ma indubbia: manipoli di avanguardie del futuro hanno già conquistato molti territori.
Chi dovesse avere ancora la brama di vedere gli antichi originali, quali David o spaccapietre, ne potrà di sicuro disporre, nell’epoca della riproducibilità dell’opera d’arte, in forma vera più del vero, grazie ai progressi dei metodi di moltiplicazione e diffusione, già efficacissimi e, col passare del tempo, inevitabilmente, ancora più sofisticati, adattati alle accresciute esigenze della umana sensibilità, in un futuro tangibile del nostro essere digitali. Questo pone un problema che coinvolge ambiti che sconfinano nello psicologico e nel sociale, oltre ad investire con i suoi interrogativi la sostanza della cultura dell’immagine. Ma, come avrebbe detto il suocero di un egregio pittore, “ai posteri…”.
Se una coca cola è uguale per il paria e per Obama, altrettanto lo sarà l’accessibilità del manufatto grazie ai progressi del digitale. Ciò implica una considerazione che esprimo di seguito, in maniera sintetica perché argomentarci sopra comporterebbe digressioni che in questa sede apparirebbero eccessive e che lascio alla sensibilità dei volonterosi lettori: democrazia e superficialità.
Ma in questi mesi, in questi anni, (ma forse già non più in questo secolo) ancora usufruiamo di mostre, appuntamenti, contenitori, con o senza pareti.
Un futuro possibile, anzi inevitabile, o evitabile solo a certe condizioni.
Finché non avremo l’arte in casa, come avvenne per l’acqua alcuni decenni fa, l’andremo a cercare per le strade e nei musei, per inalarne l’aura che ancora, quando essa è buona, c’inebria. Ma sono convinto che poter toccare, ciascuno di noi, la Pietà Rondanini o Las Meninas, o, usufruire di quelle opere che le nuove e future tecnologie ci metteranno a disposizione a domicilio, non può che costituire un miglioramento della qualità della vita e che questo sia possibile, anzi inevitabile, o evitabile solo a certe condizioni che non credo siano augurabili.
10/12/17